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Orangeale Factory

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Punteggiato da fiordalisi e papaveri, l’alto terrapieno nasconde l’edificio alla vista di chi giunge dalla strada principale a sud; celati dal tappeto erboso e fiorito, gli spazi si sviluppano prevalentemente al suo interno.

É il contesto, qui, a dettare le condizioni: una situazione insediativa assai comune nella pianura veneta e contraddistinta dalla commistione tra case e capannoni. Collocato sul limite edificato di un piccolo centro della provincia di Venezia (Fossalta di Piave), il lotto si confronta con la presenza di una zona industriale e un tessuto residenziale a bassa densità, con prevalenza di case unifamiliari e brani di campagna urbana ritmati dalla presenza di viti.

L’alto terrapieno rivela la volontà di chiudere lo spazio rispetto all’ordinarietà del tessuto produttivo vicino, scegliendo l’introversione come principio insediativo. La gabbionata di contenimento del terrapieno, destinata ad essere progressivamente coperta dalla vite, così come la fioritura del nascente terzo paesaggio che lo ricopre, diventano elementi di un’architettura che contrappone alla serialità del tessuto produttivo la sorpresa di un mutevole ‘paesaggio in movimento’. 

Il fulcro della spazialità interna è rappresentato dal vuoto rettangolare di un’ampia corte rettangolare, protetta rispetto alla strada a sud dal terrapieno. È questo lo spazio attorno al quale si organizzano i locali interni dell’edificio. Un lato della corte è delimitata dal muro di contenimento realizzato in gabbionata sul cui sfondo campeggiano tre bagolari. Assieme alla gabbionata, anch’essa offerta al progressivo abbraccio della vite, gli alberi collaborano a definire una quinta di naturalità che estrania e protegge dall’esterno. L’orizzontalità del prato è segnata dalla presenza singolare di una quercia mentre trasparenze verso gli interni disegnano il perimetro della superficie erbosa: ad ovest sono le finestrature degli spazi di lavoro che qui si affacciano e, a nord, dalle ampie vetrate del volume interamente dedicato alla collezione d’auto del proprietario.

La corte non rivela così solo l’organizzazione degli spazi, ma dà anche piena evidenza alla natura materica dell’edificio. Internamente, se verso la strada il lato è disegnato dalla vegetazione, pronta a conquistare anche l’inerte, negli altri lati il linguaggio architettonico si affida alla purezza del calcestruzzo e del metallo utilizzato per gli infissi. 

L’interno si presenta fluido, aperto, ma con ambienti funzionalmente ben definiti, ordinatamente collocati lungo uno spazio di distribuzione che corre longitudinalmente lungo il volume. Gli uffici sono rivolti al giardino di accesso posto ad ovest. Le postazioni si susseguono separate da setti che lasciano comunque comunicanti gli spazi e mantengono la percorrenza libera lungo il lato completamente vetrato e affacciato sul giardino

L’interno mantiene volutamente un carattere industriale, denunciato da condotti a vista sul soffitto, a cui si affianca l’impianto di illuminazione, ma anche dall’uso del cemento, per i pavimenti e per i setti che segnano le postazioni di lavoro. 

Gli elementi d’arredo di Albini, Gio Ponti e Scarpa, le piante, le opere d’arte della collezione privata del proprietario, sino ai tendaggi colorati utilizzati per oscurare le sale riunioni, fanno da controcanto alla ruvida purezza del cemento. 

La cucina in acciaio è l’ultimo locale posto a coronamento di questo volume: entrando, l’ampia finestratura concede lo sguardo, oltre la siepe, sulle viti dei lotti vicini, mentre a sinistra si accede all’esterno, in un androne protetto e utilizzato come spazio all’aperto per le occasioni conviviali. 

Il percorso carrabile dal terrapieno esterno costeggia l’edificio lungo il lato nord dove si trova il portone d’accesso al salone delle auto, proseguendo, invece, si arriva all’androne di pertinenza della cucina e allo spazio sportivo. Il muro pulito in cemento segna su questi due lati interni il perimetro del volume edificato, piante rampicanti salgono sui muri perimetrali come preludio di una copertura progressiva da parte della vegetazione. È in questa attesa che l’architettura si offre al tempo, prestandosi alle mosse della natura.

Dall’esterno, rimane la percezione di un oggetto estraniante, quasi un’infrastruttura ibrida, risposta del progetto alla necessità di trovare altri modi per rapportarsi al contesto.

 

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